Gradito ospite di RNP per la rubrica “A tu per tu” questa sera è il giornalista della redazione sportiva RAI Fabrizio Failla, il quale ha condotto la serata di presentazione della Pro Pellaro in vista della nuova stagione.
Per lei che è abituato ai grandi palcoscenici del calcio, che tipo di significato ha avuto prendere parte alla presentazione di un club dilettantistico come la Pro Pellaro?
Sono molto legato alla Calabria da oltre trent’anni; non si può scegliere dove nascere ma si può decidere dove sentirsi a casa e poter dire sono ‘uno di voi’. Per me questa serata ha rappresentato un viaggio nella memoria, ho giocato anche io e seguito per lavoro il calcio minore. Ho visto l’amore, l’entusiasmo e la passione, ma anche l’impegno preso dalle istituzioni politiche; io ero qui anche per questo, per scuotere l’ambiente e per richiamare ognuno al proprio compito. Se questo messaggio verrà portato fuori e ci sarà un interessamento di sostegno, allora questa serata sarà da ricordare, per me soprattutto.
La passione che anima il calcio dilettantistico, trasmetterla alle categorie superiori porterebbe benefici?
Non è tutto oro quello che luccica. Nelle serie minori avvengono ancora situazioni non propriamente corrette: violenza psicologica e fisica sugli avversari e partite decise non da chi è più forte ma da altri fattori esterni. Io credo nell’interscambio, credo che il calcio maggiore possa insegnare al calcio dilettantistico molte cose, come già sta accadendo: la preparazione di una stagione o di un avvenimento, e una mentalità professionistica che vada oltre lo stipendio. Il calcio minore potrebbe invece insegnare ai grandi campioni la capacità di stare in mezzo alla gente, sentirsi uniti alla comunità , poter essere collettori di valori. Nei campionati minori si devono formare i vivai che possano insegnare ai ragazzi a divertirsi con il pallone e diventare uomini, al di là se diventeranno calciatori o meno; i grandi club non lo possono fare, ma dovrebbero comunque imparare che non basta andare a prendere l’atleta all’estero poiché già pronto. Dovrebbero occuparsi di far nascere e crescere dei giovani che se anche non diventeranno calciatori, saranno comunque in grado di affrontare la vita, questo è il messaggio che lo sport deve portare.
La Reggina sta vivendo degli anni non facili dopo la gloria della Serie A; cosa potrebbero fare Reggio e la Reggina per tornare a vivere quantomeno una Serie B importante?
Ho vissuto in prima persona gli anni della Serie A della Reggina come inviato per la RAI, ed era un amore che si stava rinsaldando per me. Il sud ha la brutta abitudine di criticare piuttosto che costruire, si attende più il fallimento di chi prova piuttosto che essere pronti all’applauso o a garantire con la passione, con la presenza o facendo un abbonamento, il proprio sostegno alla squadra. Il calcio non è più quello di Rozzi, Massimino o dei grandi mecenati come Moratti papà ; oggi il calcio è più impegno e preoccupazione, e chi ha il coraggio di non voler vedere affondare la squadra della propria città ha sempre il diritto di essere sorretto nei momenti difficili ed essere incentivato per l’esigenze del club. Non voglio ridurre il tutto al Dio Denaro, ma se ognuno di noi desse una piccola parte, dalle aziende agli imprenditori, alle istituzioni, la Reggina avrebbe la possibilità di rimettersi in gioco, fino in fondo, a tutto tondo. L’errore è stare sulla riva del fiume ad aspettare un passaggio a vuoto, credo sia imperdonabile, cattivo e disdicevole, questa gente andrebbe isolata; il pettegolezzo e la cattiveria alle spalle sono uno sport in cui l’italiano eccelle. Credo sia sempre da incentivare quella forza silenziosa che lavora per fare, e non quelli che amano criticare e distruggere.
L’ennesima estate travagliata del calcio italiano, tra blocco dei ripescaggi, ricorsi e squadre B; quali idee si è fatto in proposito?
L’estate travagliata nella quale si è incapaci di trovare una soluzione è figlia di una federazione che non esiste, non c’è un presidente, una figura di riferimento a parte il commissario Fabbricini. Il caos nasce dalle televisioni che hanno frantumato il campionato per esigenze di marketing dal venerdì al lunedì; io sono cresciuto nell’epoca in cui tutte le gare si giocavano la domenica pomeriggio, mentre quest’anno ce ne saranno solo tre. Io lancio un allarme: l’apatheid del calcio. Si va ormai verso uno sport usufruito dai ricchi che possono permettersi gli abbonamenti, negato alle persone che avrebbero il diritto di vederlo in chiaro. Parlo da persona che vorrebbe che tutti potessero vedere il calcio e non solo chi ha la possibilità economica di potersi abbonare. Dobbiamo superare queste barriere, fare in modo che il calcio sia per tutti, un calcio solidale e questo è un impegno che Federazione e Governo devono prendere per tutti gli italiani.
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