Due stagioni in maglia amaranto tra il 1991 ed il 1993, con 49 presenze all’attivo e 24 reti messe a segno. Mino Bizzarri, attaccante abruzzese classe 1967, ha lasciato un gran bel ricordo di lui qui in riva allo Stretto, prima di girovagare in lungo e in largo per l’Italia tra la Serie B e la Serie C, passando anche per una fugace esperienza in Serie A con il Brescia: è lui il protagonista dell’appuntamento odierno con “A tu per tu”.
“Può raccontarci qualche aneddoto riguardo la sua esperienza in amaranto, o qualche ricordo che le è rimasto particolarmente impresso?”
“Sono arrivato a Reggio nel 1991. Il primo anno con Ansaloni è stato duro, sono arrivato a stagione in corso e non ho instaurato un buon rapporto con l’allenatore. Sono rimasto l’anno dopo con Geretto e la musica è cambiata, ho messo a segno diciassette reti. C’era un bellissimo ambiente e tanto tifo: la gente andava matta per la Reggina, nonostante fosse reduce da una retrocessione. Un ricordo su tutti è legato senza ombra di dubbio alla nascita del mio primogenito, avvenuta appunto durante la mia permanenza a Reggio. Un episodio del genere segna profondamente la vita di un uomo, impossibile dimenticare ciò che questa città ha rappresentato per me.”
“E’ nota a tutti la sua grandissima esperienza a livello di Serie B e Serie C, mentre ha trovato pochissimo spazio nella massima serie. Ripercorrendo un po’ la sua carriera, sente di avere qualche rimpianto sotto questo punto di vista?”
“Con la maglia del Brescia ho totalizzato otto presenze in Serie A, mettendo a segno anche tre reti. Qualche rimpianto è normale averlo, ma posso affermare con altrettanta sicurezza di essermi tolto tutte le soddisfazioni possibili. Certo, col senno di poi è facile parlare, se avessi agito in maniera diversa o avessi avuti un pizzico di fortuna in più probabilmente avrei giocato di più in Serie A, ma non è questo il problema, perché rifarei esattamente tutto il mio percorso in maniera identica. A mio avviso un grande errore è stato quello di fare alcune scelte con il cuore e non con la testa. Prima di venire a Reggio, seguii Montefusco a Caserta, rifiutando la chiamata del Cagliari che nel giro di tre anni è salito dalla Serie C alla Serie A e probabilmente la mia carriera sarebbe potuta cambiare drasticamente. Però, ripeto: non rinnego niente del mio passato, va benissimo così.”
“Nel 2007 ha appeso gli scarpini al chiodo per intraprendere la carriere da allenatore. Come procede questa nuova vita? Si trova più a suo agio nei panni di calciatore o allenatore?”
“Quando scendi in campo ti rendi conto che sei tu ad agire in prima persona e che l’allenatore, alla fine, soprattutto nelle categorie più importanti, conta relativamente poco. La differenza tra il mio passato ed il mio presente è proprio questa: primo ero io a trovarmi in mezzo al campo e decidere cosa fare, mentre ora ti devi affidare ai tuoi giocatori e trasmettere la tua voglia di giocare e renderti protagonista insieme a loro. Ti senti impotente, se vanno male le cose puoi cambiare il modulo o i giocatori, ma non sai mai se l’esito sarà negativo o positivo, non essendo tu a vivere la situazione in prima persona. Credo che questa sia la maggiore difficoltà per un allenatore.”
“Può fare un confronto tra il calcio di oggi e quello in cui giocava lei? Cosa è cambiato?”
“Sono aumentati i ritmi ma, in compenso, è diminuita la tecnica. Un giocatore di un tempo che militava, per esempio, in Serie D o in Serie C, dal punto di vista puramente tecnico, oggi a mio avviso, avrebbe potuto tranquillamente rendersi protagonista in Serie A. Si dà oggi molto più spazio all’atletismo ed alla prestanza fisica, ma viviamo in un’epoca in cui c’è una grave carenza di tecnica.”
“Cosa ne pensa di questa nuova iniziativa a livello nazionale di lanciare le cosiddette “Squadre B” così come già accade nel resto dell’Europa?”
“Io ho un’idea ben precisa. Se in Italia non si riesce a ripartite dai settori giovanili ed educare i propri ragazzi, allora faremo molta fatica a risollevare le sorti calcistiche del nostro paese. Il calcio oggi è solo un business e, in Italia, si dà pochissima attenzione ai vivai. C’è bisogno di gente competente che possa istruire nel migliori dei modi i calciatori di domani. Oggi vedo tantissima incompetenza, con società che assumono gente poco preparata per risparmiare qualche soldo e ragazzi di tredici-quattordici anni che fanno fatica a correre o che non sanno stoppare un pallone. La situazione è preoccupante, il campanello d’allarme suona già da parecchio tempo. C’è da lavorare tanto.”
Marco Iurato
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