Amore incondizionato per la maglia amaranto. Dopo l’intervento telefonico a Tutti i Figli di Pianca per il post-derby, Tonino Martino è ritornato a Touring, questa volta ospite in studio. Gli occhi brillano quando si parla della Reggina, tra dispiacere per come stanno andando le cose e speranze future.
“Anche a mente fredda-ha spiegato Martino ai microfoni del duo Auspici-Ielasi-, il mio giudizio sul derby è sempre lo stesso: a Messina si può perdere, ma non in quel modo. Ripeto, le mie considerazioni dopo la sconfitta di giovedì scorso (clicca qui), non volevano mancare di rispetto a nessuno, ma solo essere da sprone e da stimolo verso chi deve assolutamente salvare questa squadra. La Reggina per me è una fede, stiamo parlando della mia squadra del cuore e quindi da me non aspettatemi mai disamine diplomatiche o giri di parole, perché quando parli di un qualcosa che per te rappresenta tantissimo, devi metterci l’anima e dire tutto senza peli sulla lingua”.
Amaranto in crisi, la giovane età del gruppo non può bastare da sola a racchiudere i problemi dei ragazzi di Zeman. “Avere 21 anni può farti incappare in qualche errore a livello di ingenuità o di gestione delle gare, ma non può incidere sul carattere. Oggi a vent’anni c’è parecchia gente che gioca in serie A, non capisco cosa c’entri l’età media bassa col non giocare una partita maschia. Nel girone meridionale non bastano le doti tecniche, ci vogliono motivazioni enormi e personalità da vendere. Ho visto questa squadra nelle prime giornate, così come del resto faccio ogni volta che gioca: era tutta un’altra storia, tutta un’altra musica. Non so cosa è successo in questi mesi, ma è sotto gli occhi di tutti che qualcosa si è rotto, che c’è una frattura all’interno. Forse il problema può riguardare anche il rapporto tra giocatori ed allenatore, visto che lo stesso Zeman dopo Messina è stato molto duro, ma non sta certo a me dire quali sono le problematiche reale o individuarle. Questo compito tocca ai diretti protagonisti, ma l’importante è che lo facciano in fretta“.
Anche quando si parla di sogni nel cassetto, il ‘Lupo’ è sincero e diretto. “Lo dico da anni, ormai non è più un mistero. Oggi come oggi gestisco una scuola calcio, ma il mio sogno rimane quello di tornare a Reggio e lavorare per la Reggina. Quello di cui sono certo è che darei l’anima, mettendo a disposizione della società tutta la mia esperienza ed il mio amore per questi colori. I matrimoni però, bisogna farli in due, quindi tutto dipende dalla dirigenza: se non sarà possibile pazienza, continuerò a fare il tifoso ed a seguire la maglia amaranto ogni volta che giocherà , in qualsiasi categoria“.
Tornando ai possibili rimedi per uscire dalla crisi, Martino rivolge la sua attenzione verso gli elementi più esperti. “Se i giovani non hanno carattere non li si può crocifiggere, ma li si può aiutare ad acquisirlo. E’ importante che i più grandi li coinvolgano, gli infondano coraggio e gli diano stimoli sia fuori che dentro al campo. Quando arrivai a Reggio non ero certo un ragazzino, ma se mi innamorai della Reggina fin dal primo giorno fu merito anche di gente come Maurizio Poli, che faceva capire a chiunque il peso di questa maglia, ti faceva sentire partecipe di una battaglia da fare tutti insieme. Basta poco per sentirti non un semplice calciatore, ma un rappresentante di una città unica come Reggio Calabria. Ecco, questo deve essere il concetto da tramandare e da far entrare nell’anima: la Reggina non è una squadra come le altre, la Reggina è unica…“.
In chiusura, si apre l’albume dei ricordi. “L’altra volta vi ho detto che nel derby di Cosenza successe di tutto, quello che non ho avuto tempo di raccontarvi riguarda il post-partita. La tensione era alle stelle, perchè con quella sconfitta loro rischiavano seriamente di retrocedere, e dunque uscimmo dallo stadio dopo almeno due ore. Appena saliti sul pullman, ci mettemmo a cantare tutti insieme, come dei veri tifosi, al grido di ‘Non c’è n’è, non c’è nè‘, rivolto verso i nostri cugini. Un coro che ci rispecchiava, perchè con quella Reggina non ce n’era per nessuno, e lo dimostrammo nella successiva trasferta di Pescara, vincendo lo scontro diretto a due giornate dalla fine, davanti a più di ventimila pescaresi. Eravamo un gruppo di amici, di combattenti, un blocco unico che non conosceva paura e lottava insieme in ogni situazione: fu per questo che andammo in serie A, con tutto il rispetto per Gustinetti e Bolchi sono convinto che ci saremmo andati anche senza allenatore“.
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