Anima e cuore. Testa e piedi. Confuso e infelice. Il centrocampo amaranto balbetta, cade e non si rialza.
Le caratteristiche primordiali di questa Reggina capace di sopperire, almeno fino a Caserta, al gap tecnico con l’agonismo sfrenato e una condizione atletica superlativa, ieri sono rimaste negli spogliatoi. Del dinamismo “made in Zeman” nemmeno l’ombra, pressione alta questa sconosciuta, timidi e asfittici accenni di “palleggio”, trame di gioco non pervenute. Quando imbarchi sei gol nessuno si salva e più che crocifiggere l’individuo è opportuno analizzare il tracollo collettivo.
E’ evidente però che il faro amaranto, Alberto De Francesco, il calciatore con più qualità in rosa, si è momentaneamente spento. Un calo fisico, di condizione, con immediate ripercussioni non solo sul piano estetico del gioco reggino (nelle prime uscite proprio le sue improvvise e brillanti intuizioni avevano garantito alla squadra efficacia e pericolosità offensiva) ma anche su quello produttivo.
De Francesco non attraversa un buon momento fisico, i continui fastidi alle caviglie si palesano in termini di rendita e qualità.
Balbetta lui e nessuno riesce a sopperire, la mediana si sfilaccia, il filtro viene meno, l’interdizione va a farsi benedire, Knudsen e Botta sempre costretti alla rincorsa del pallone, mai allineati o utili al raddoppio difensivo.
Armellino che per una serata sembra Iniesta.
Quando si (ri)accende la “lampadina-De Francesco” la Reggina trova due reti. Due episodi, due gol: sintesi povera ma concreta di quanto questo calciatore sia fondamentale per le “produzioni” amaranto. Per la creatività di un collettivo che in termini di qualità e fantasia ha atteso per troppo tempo, invano, le giocate di un Oggiano inconcludente, a tratti dannoso.
Il Matera affonda, per vie centrali e per vie laterali, il tridente lucano si presenta a ripetizione “uno contro uno” con i difensori amaranto, artefici di una serata da dimenticare, di un incubo che per tante notti sarà ricorrente.
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