Un avversario ben organizzato, rapido nel palleggio, propositivo, ordinato. La Juve Stabia vista ieri sera è la compagine sinora migliore arrivata a Reggio Calabria. Nessuno, tra Messina, Catania e Cosenza, era infatti riuscito a mettere in difficoltà gli amaranto come lo hanno fatto Ripa e compagni. Nessuno era mai venuto al Granillo ad imporre il proprio gioco.
Diciamolo pure: forse stavamo iniziando ad abituarci ad una Reggina che in casa fa sempre la partita, che seppur con difficoltà a concretizzare schiaccia l’avversario nella propria metà campo specialmente nella ripresa. Ma in campo non c’è una squadra sola ed ogni partita ha una storia a sé. Ieri, come detto, specie nella prima frazione erano i ragazzi di Fontana a proporre gioco chiudendo più volte nella propria area gli amaranto.
Ma, può sembrare strano, anziché preoccupare questa osservazione ha messo in evidenza un dato positivo, a cui nessuno aveva mai pensato perché mai c’era stata l’occasione per farlo: la Reggina sa soffrire. E se una squadra sa soffrire vuol dire che non si scioglie alle prime difficoltà , che resiste agli attacchi per poi affondare nel momento opportuno.
Un po’ come accaduto ieri: grazie ad una difesa perfetta, il muro amaranto ha retto bene. Kosnic e Gianola non hanno sbagliato nulla, Cane e Possenti hanno ben tenuto le proprie posizioni nonostante due avversari ostici come Kanoute e Lisi. Pochi pericoli verso la porta di Sala ma il pallino del gioco sempre in mano agli ospiti, che hanno dato l’impressione di poter affondare da un momento all’altro. Alla fine però, nel momento giusto, è arrivato il colpo degli amaranto, impegnatisi poi nel proteggere il vantaggio.
Saper soffrire affondando al momento giusto: caratteristica, questa, più importante di tanti altri fattori; caratteristica, questa, che non fa altro che confermare lo spirito creatosi all’interno dello spogliatoio.
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