“Come io non ho dimenticato Reggio, mi fa un immenso piacere che anche voi non vi siate dimenticati di me, nonostante sia passato tanto tempo“. Comincia così la chiacchierata di Tutti Figli di Pianca con Ricardo Paciocco, attaccante amaranto dal 1989 al 1991 che proprio oggi compie 56 anni.
L’avventura dell’ex attaccante in riva allo Stretto, è impreziosita da gol spettacolari. La punizione contro il Catanzaro, la rovesciata dal limite dell’area contro l’Avellino, ma soprattutto la ‘rabona’ dagli undici metri contro la Triestina. Proprio il rigore vincente calciato contro gli alabardati, viene messo a paragone con quanto fatto da Messi, che nello scorso febbraio, durante Barcellona-Celta Vigo, passò la palla a Suarez invece di calciare, e quest’ultimo depositò in rete. Un ‘rigore a due tocchi’, che ha diviso gli amanti del calcio: genialità o mancanza di rispetto? Sull’argomento, Paciocco ha le idee chiarissime. “E’ stata una mancanza di rispetto per l’avversario, in quanto il gesto è arrivato quando la vittoria era già in tasca (il Barca conduceva già per 3-1 ed alla fine mancavano circa 10 minuti, ndr). Un rigore del genere ha senso quando lo batti sul punteggio di 0-0, specie se l’autore è un calciatore così forte come Messi“.
Facile a dirsi, piuttosto che a farsi. Ma Ricardo Paciocco in realtà ha tutte le carte in regola per sposare questa teoria, in quanto lui un rigore folle e geniale lo calciò sull’1-1, a meno di un quarto d’ora dalla fine. L’indimenticabile rabona, per l’appunto. La Reggina giocava contro la Triestina, alla fine del torneo mancavano solo tre giornate e l’undici di Bolchi si giocava le ultime chances per andare in serie A. L’aneddoto è stato raccontato dal diretto protagonista in diverse occasioni, ma vale sempre la pena riascoltarlo.
“Giocavamo un’amichevole con l’Under 21, e segnai un rigore a Marchegiani facendo proprio l’arabona; lui non la prese bene, andando su tutte le furie. Dopo la partita, mentre stavo ancora facevo la doccia, Bruno Bolchi venne a rimproverarmi energicamente, dicendomi che in quel modo si offende l’avversario. Io guardai il mister con stupore, assicurandogli che il mio modo di calciare era quello e così avrei fatto anche quando ci sarebbero stati i tre punti in palio. Contro la Triestina, ebbi modo di dimostrare all’allenatore ed ai compagni che non stavo mentendo. All’inizio voleva tirare Simonini, ma lo convisi a lasciarmi il pallone. Andai sul dischetto piegandomi sul piede sinistro, in modo che il portiere pensasse ad una conclusione di potenza: i miei compagni invece avevano capito come avrei calciato, Cascione gridava verso la panchina mentre altri si giravano di spalle per non guardare. Le cose andarono bene, il segreto è avere la convinzione di fare gol, senza pensare nemmeno per un secondo di poter fare una figuraccia“. Paciocco ricorda perfettamente anche il gol segnato su punizione al Catanzaro, quando la sua conclusione sorprese tutti ed andò ad infilarsi nell’angolino: anche questo, un gol decisivo. “L’effetto sorpresa era una delle mie caratteristiche. L’anno prima, a Lecce, giocavamo contro il Torino una gara fondamentale per la salvezza: stavamo vincendo, ma invece di tenere palla, calciai quasi da centrocampo, trovando il gol che chiuse i giochi“.
Simonini-Paciocco: un tandem d’attacco rimasto nella storia amaranto. “Vi racconto una storia che conoscono in pochi. Giocavamo contro il Licata, avevamo appena subito il gol del pari ed alla fine mancava pochissimo. Dopo quella partita saremmo andati in vacanza per Natale, e la società mi aveva promesso che se fossi andato a segno avrei ricevuto un premio-partita. A quel punto, presi il pallone, lo misi a centrocampo e dissi a Fulvio che io avrei dribblato un giocatore prima di dargli il pallone, ma lui doveva ripassarmelo affinchè io potessi segnare e prendere il premio. Lì per lì mi prese per matto, ma poi accettò: ebbene, andò proprio come avevo sperato, e con quella rete vincemmo 2-1”.
Dopo aver sfiorato la serie A nell’89/90, l’anno dopo la Reggina finì addirittura col retrocedere a dispetto di ogni pronostico. “Non so spiegare nemmeno io i motivi di quella retrocessione, eravamo una squadra fortissima. Abbiamo dato tutto per evitare che finisse in quel modo, ma forse siamo stati presuntuosi nel non capire subito quanto le cose stessero andando male. All’inizio pensavamo che tirarsi fuori dai guai era solo una questione di tempo, perchè quella squadra, costruita per la promozione, non poteva certo finire in C1. Ed invece…”.
Paciocco oggi. L’amore per il calcio continua, pur con qualche considerazione amara. “Alleno i ragazzini ed ho aperto una scuola calcio, con mio fratello andiamo a selezionare tutti i talenti del Venezuela ed abbiamo un’affiliazione col Barcellona. Non è più il calcio di una volta, ci sono troppi interessi anche a livello giovanile. All’epoca eravamo diversi in tutto, ricordo che a Reggio non vedevamo l’ora di stare con la gente, dalle passeggiate sul corso ai primi bagni in spiaggia. La passione però rimane, qualche partita la guardo ancora…”.
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