Di Gianpiero Versace – Onori ed oneri dell’essere al comando di un club. Il calcio è un settore dell’imprenditoria assolutamente atipico. Ci sono dei soggetti che si assumono un rischio d’impresa, investono e sono, a pieno titolo, titolari di un’azienda che tuttavia non riflette solo i loro interessi ma quelli di una collettività che, in quel bene che è insieme proprietà privata e pubblica, si riconosce, crede, spera. Lo alimenta.
Si è aperta la finestra di mercato riservata ai club dilettantistici, l’ASD Reggio Calabria prova a fortificare le proprie speranze. Un intervallo di tempo molto breve (17 giorni), all’interno del quale sarà necessario agire con decisione, precisione chirurgica, sapienza. In un solo concetto, con le idee chiare.
Il progetto di rivisitazione dell’organico amaranto è, a dire il vero, ufficiosamente partito dall’ormai famosa conferenza stampa post successo sulla Palmese durante la quale Gabriele Martino fece presente la necessità di intervenire per fornire al gruppo gli strumenti per poter credere alla rimonta. La sua non fu solo una richiesta di supporto economico alla società , gli orizzonti erano diversi e ben più ampi. Il focus era altrove ed una frase in particolare racchiuse a pieno, secondo la nostra percezione, il senso neppure troppo velato delle sue parole. “Vorrei lavorare secondo i miei criteri e le mie idee”. Un concetto che ci sentiamo di sostenere.
Questo, attenzione, non vuol dire spalleggiare una parte. Intanto perchè in una società non dovrebbero esistere parti diverse, tantomeno opposte; soprattutto perchè la richiesta è legittima, consequenziale all’incarico ricoperto. Lo è perchè ogni figura, all’interno di un’impresa, ha il proprio ruolo: svolgerlo nel migliore dei modi e senza interferire con l’impegno altrui è la missione. Il farraginoso funzionamento di questo meccanismo è stato, del resto, tra le cause dei problemi che hanno seppellito la Reggina Calcio. Replicare i fatti, seppure in circostanze diverse nella forma ma eguali nella sostanza, è il paradosso da evitare.
Nel momento in cui quest’estate l’ASD Reggio Calabria si è rivolta a Gabriele Martino gli ha assegnato un ruolo, quello di Direttore Generale, ed un compito preciso. “Affidiamo a lui, insieme all’allenatore, la gestione tecnica della squadra: noi dobbiamo fare i dirigenti, a loro compete l’aspetto tecnico”, furono le apprezzabili parole del presidente Praticò in sede di presentazione.
Le premesse, insomma, sono state le migliori. Unità d’intenti, chiarezza nei ruoli e nei compiti. Questa finestra di mercato costituisce una tesi di laurea per il club, nella sua interezza, e dirà molto sulle prospettive del progetto che ha avuto inizio quest’estate. Le risorse umane perchè abbia un respiro ampio e felice ci sono, più di una figura all’interno dello staff dirigenziale ha spessore morale e competenze specifiche per dar lustro al calcio reggino. Serve coesione.
Martino, dunque, deve essere padre-padrone del club? Allontaniamo quest’interpretazione del nostro pensiero, che chiariamo ulteriormente in un ambiente in cui, troppo spesso, le argomentazioni vengono superficialmente, o faziosamente, ricondotte a simpatie/antipatie ad personam.
Qui, sulle pagine di questa testata, c’è un unico riferimento: l’amaranto.
Riteniamo, allora, sia necessario che l’ASD Reggio Calabria si muova sul mercato con la prepotenza economica del Manchester City? Nient’affatto.
Come abbiamo citato le parole del presidente in precedenza, ricordiamo un’altra frase da lui pronunciata ad agosto e della quale bisogna dargli atto per l’onestà dimostrata. “Serve l’aiuto di tutti, bisogna comprendere lo sforzo. Le nostre risorse non sono infinite“. Il sacrificio, sul piano monetario, è stato fatto, e l’atto di responsabilità nei confronti della storia sportiva cittadina perpetrato dallo staff dirigenziale quest’estate resterà nella memoria collettiva e va onorato. Dalla comunità amaranto e allo stesso tempo dagli stessi diretti interessati, perchè  il compito assunto di rilanciare la Reggina (questo il nome a cui mira il progetto) comporta degli onori (legittimi e sacrosanti) e degli oneri (naturali e consequenziali).
Ciò che intendiamo dire, insomma, è suddivisibile in due punti.
Il primo, che vengano chiariti gli obiettivi sportivi e che siano finalmente comuni e condivisi da tutte le parti in causa. Fatto questo, venga stabilito un budget adeguato per provare a raggiungerli. Un euro per puntare a metà classifica, 100 milioni di euro per vittoria della Champions League, poco importa. Tutti auspichiamo di tendere alla vittoria ma nessuno, in riva allo Stretto, vive sulla luna, men che meno noi che da addetti ai lavori e cittadini siamo perfettamente consapevoli delle difficoltà  del territorio: la ricchezza richiesta è quella della chiarezza. Certo, una base economica con la quale operare dignitosamente è lecito attendersela ma, è ciò che si deve a chi quest’estate ha investito 400mila euro a fondo perduto per dare continuità al calcio reggino, non ci si aspetti i fuochi d’artificio. Del resto, i successi a queste latitudini hanno sempre avuto come padre l’ingegno, l’opulenza come parente remoto.
Secondo punto. Al Direttore Generale venga data la possibilità di agire secondo compiti, mansioni, libertà (strategica) e responsabilità che il ruolo per il quale è stato assunto presuppongono.
Poi, a fine stagione, arriverà il momento dei dirigenti, che hanno un ruolo altrettanto importante. Pur essendo un’azienda atipica, il calcio rispecchia tutti gli altri settori dell’imprenditoria: la proprietà delega, poi a fine anno valuta l’operato di tutti, dagli impiegati al CEO. E’ così anche nello sport. A fine stagione, ai dirigenti il compito di valutare quanto fatto, da tutti. Dalla figura più marginale alla più importante.
Perchè il giudizio sull’operato sia completo, tuttavia, il patto è uno solo: venga puntato un traguardo univoco e forniti gli strumenti necessari. Soprattutto, venga data l’opportunità di utilizzarli “secondo i suoi criteri e le sue idee”. Poi, tirare le somme. Si può?
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