C’è un filo sottile tra accettabilità e indecenza, e la Reggina ha deciso di oltrepassarlo, facendosi strozzare dalle proprie paure, dai limiti tecnici e da un’incapacità di reazione preoccupante. Il risultato è l’inserimento ormai definitivo in un cono d’ombra asfittico, in cui nemmeno il cerino lanciato dal cambio di modulo riesce a far luce.
Cozza le prova tutte. Il 3-5-2 compone in sé un bisogno di trasformazione in cui si inglobano esclusioni eccellenti, riposizionamenti e cambi di effettivi fin qui al di sotto delle aspettative. Non c’è spazio per Masini, per Di Michele, per Viola. Ungaro torna centrale e, complice l’assenza di Camilleri, si rivede in campo Crescenzi. Troppo autolesionistico pensare di posizionare Rizzo in difesa. Il messinese continua ad agire nel ruolo di playmaker, confermandosi unico petalo in un deserto di limiti tecnici. Ma il calcio è materia collettiva, e immaginare che un elemento su undici possa far virare la situazione è un ragionamento sciocco ed infondato.
Il Melfi, schierato con il 4-3-3, ha più fame degli amaranto, e il pressing alto che fin da subito la formazione avversaria imprime al match, mette in difficoltà i calabresi. Un quarto d’ora accettabile non è, infatti, sufficiente a garantirsi la vittoria, e più passano i minuti, più il copione assegna meriti ai gialloverdi e ruoli marginali agli amaranto. Caturano e Berardino agiscono senza la minima pressione, e quando quest’ultimo trova la rete da calcio di punizione, la Reggina scompare colpevolmente dal campo.
L’espulsione di Maimone è il definitivo canto del cigno degli ospiti, che capitolano irreversibilmente, catturati in una situazione dalla quale adesso sembra impossibile venir fuori.
f.m.
Â
Commenti