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Pescara ieri ha vissuto un pomeriggio surreale, incredulità e sgomento l’hanno fatta da padrona. La partita con il Bari era una semplice cornice: l’attenzione era tutta per Franco Mancini, volato via come in passato faceva tra un palo e l’altro. Il gol di Immobile, la prodezza di Bellomo, la sconfitta interna: tutto necessario per capire che lo sport più amato dagli italiani in certe occasioni andrebbe ricollocato in una dimensione meno ossessiva.
Lo stadio ‘Adriatico’ ha partecipato con sentito dolore, i tifosi hanno salutato Mancini riservandogli il giusto omaggio. Anche l’algido Zeman si è sciolto tra le lacrime. Le parole sussurrate come sempre, stavolta però il filo di voce è inevitabile, piegato dal dolore: “Ho perso un figlio”, quattro parole che sono come una coltellata. Se potesse, Zeman, userebbe la solita cortina di fumo per nascondersi e poter convivere con il dolore in santa pace, non sul palcoscenico verde. E’ la figura del boemo, cosi composta ma capace di trasudare emozioni e umanità (cosa per lui insolita) la cartolina che rimane impressa, altro che gol e dribbling. Novanta minuti di sofferenza. Il calcio però stavolta c’entra poco.
Pa.Rom. – rnp
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