Ancor prima di affrontare una tematica delicata e sfaccettata come il doping è necessario inquadrare la figura del medico sportivo il quale, nonostante sia figura imprescindibile per l’attività agonistica sportiva, non rientrava nel novero dei soggetti che la legge 81/91 classifica quali sportivi professionisti.
Il medico sportivo è un libero professionista cui pertanto si applicano le norme del codice civile, in particolare l’art. 2236 c.c. (Responsabilità del prestatore d’opera intellettuale) , secondo tale norma il medico risponde solo in caso di dolo o colpa grave, qualora l’intervento affrontato presenti particolari difficoltà o richieda particolari tecniche. Uno standard piuttosto basso dunque e che a lungo ha funzionato da “scudo” per l’attività medica.
Questo però fino agli anni ‘80, di lì in poi infatti, parallelamente allo sviluppo della tecnologia e della medicina anche in ambito sportivo, paradossalmente si è assistito ad un aumento del contenzioso medico-giuridico. Questo perchè si ribalta il rapporto medico/paziente, laddove il medico era depositario di un sapere superiore ed il paziente era un po’ il discente che subiva passivamente le determinazioni mediche, adesso invece sulla scia di tutte le normative sul consenso informato, il paziente conosce e pretende tutela.
In casi come quelli del medico sportivo l’accertamento sanitario e il conseguente rilascio delle certificazioni di idoneità a praticare l’attività sportiva costituiscono la condicio sine qua non per lo svolgimento dell’attività stessa e per la stipulazione dei contratti. Non a caso il medico che si occupa di questi controlli e che poi rilascia apposite certificazioni è un libero professionista specializzato in medicina dello sport ed iscritto negli appositi elenchi presso le federazioni nazionali. E’ perciò un soggetto qualificato, la cui natura e requisiti per l’accesso sono stati positivizzati dal decreto ministeriale 13 marzo 1995.
Il rapporto tra medico sportivo e paziente è inoltre di difficile schematizzazione perché oltre all’atleta che autonomamente cura la propria scheda sanitaria rivolgendosi di volta in volta al medico sportivo, esiste anche il caso di chi in virtù di un rapporto contrattuale con una società viene a far parte di un rapporto trilaterale con il medico sociale, anch’esso legato da un rapporto contrattuale con la società, ma che non ha nessun rapporto con l’atleta, ed è perciò difficile capire che tipo di responsabilità lega l’atleta al medico sociale.
La giurisprudenza in questi anni è stata piuttosto altalenante sull’argomento: la sentenza sul caso Renato Curi del 1981 (atleta che muore in campo a causa di un insufficienza cardiaca) cassava con rinviala sentenza d’appello che riconosceva una responsabilità medica, chiedendo la valutazione di un eventuale “concorso di colpa dell’atleta” che ad esempio poteva aver taciuto sofferenze, patologie e circostanze che avrebbero influito sulla valutazione medica
Successivamente a testimonianza dell’inadeguatezza legislativa sull’argomento la giurisprudenza effettuò una brusca inversione di rotta affermando nel caso Miliardi (1983) che in realtà: “posta la circostanza che per praticare l’attività fisica, anche agonistica, il soggetto può essere teso a nascondere alcune circostanze o a sottoporre il proprio fisico a sforzi oltre quelli che sono i suoi limiti, l’attività del medico deve essere idonea a valutare l’attitudine del soggetto tenendone conto” . Così facendo esisterebbe una colpa medica anche nel caso in cui l’atleta occultasse talune patologie e sarebbe ai limiti dell’assurdo.
Secondo orientamento corrente invece la condotta medica deve essere valutata avendo riguardo alle circostanze che si presentano in quel dato momento, nel senso che non si può poi imputare al medico un eventuale decorso peggiorativo non prevedibile al momento della rilevazione. Perciò l’attività medico-sportiva è sottoposta al principio dell’osservazione delle circostanze, stesso principio che, talaltro, informa la legge sul doping la quale, nell’indicare col sistema tabellare le sostanze vietate, produce aggiornamenti di volta in volta sancendo ciò che è vietato in quel dato momento storico, con una previsione che riguarda il futuro, “la legge, infatti, non dispone che per l’avvenire”. Di questo e della complessità delle pratiche che ruotano attorno al fenomeno “doping” tratteremo prossimamente.
Ivana Veneziano
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