Di Gianpiero Versace – “Le canzoni non sono querce, ma fiori che ci scambiamo ogni giorno. Hanno il meraviglioso dono del piccolo, del sapere dare consolazione, affetto, amore, passione, desiderio e speranza”. Parola di Roberto Vecchioni.
Vale per tutte le canzoni? “Per quelle belle”, ha precisato il cantautore milanese dal palco dell’Ariston di Sanremo.
Vale ad ogni latitudine, lo aggiungiamo noi.
Con “Sei tu”, Alfredo Auspici ha offerto un fiore all’intera comunità reggina. Ha scritto una lettera d’amore non a una squadra ma al ruolo da essa recitato nel suo percorso di uomo. Ha raccontato una storia nella quale tutti noi, chiunque riconosca alla Reggina un ruolo nella propria vita, inevitabilmente ci riconosceremo.
“Con gli occhi di mio padre ho visto Alaimo, Mupo e Camozzi. L’ho visto piangere e ridere un sacco parlando di te”. Il viaggio parte dal principio, non a caso. Il calcio, come la società civile, ha bisogno di memoria per spiegare il presente e costruire il futuro.
E’ciò che ci permette di non vivere in un presente permanente composto da un insieme di attimi disconnessi tra loro. Ciò che oggi si chiama storytelling e una volta era l’emozione del racconto di un padre che trasmetteva una passione attraverso l’epica dei suoi ricordi.
“A Reggina – del resto – è comu a famigghia”. Una frase che vale un certificato di cittadinanza, in grado di rappresentare al meglio il legame tra Reggio Calabria ed il suo simbolo, non solo sportivo, equiparato all’istituzione per eccellenza nel Mezzogiorno. Un binomio che trascende il calcio, forgiato attraverso fasi storiche drammatiche, tenuto vivo dalle esperienze personali. Dal ricordo, di bocca in bocca. Di animo in animo.
Una poesia come quella composta da Alfredo Auspici è il trait d’union tra la recita sul campo e ciò che essa significa per chi vi assiste. “Ho visto sogni realizzati grazie a te”. Canta la verità e l’essenza stessa della Reggina e di questo sport, manifesto sociale senza eguali.
“Sei tu” e opere di questa levatura assicurano un sostegno forte, magari determinante, nella costruzione di una memoria storica condivisa, patrimonio che definisce l’esistenza stessa di un popolo: in questo caso quello amaranto, quello reggino, combattendo quel vento che sembra voglia scindere un’unica entità.
“Possanzini che scatta e ormai non lo prendi più. Poli che fuma e corre come un bambino, Bonazzoli che apre le ali, Giacchetta che spinge la gente…venite giù”. Istantanee della vita di Alfredo nelle quali ognuno può rispecchiarsi e aggiungere le proprie.
Se, come fatto da Alfredo, tutti noi avessimo a cuore l’importanza di trasmettere a chi ci sta vicino – figli, parenti e amici- una parte della nostra identità, quella amaranto, ci renderemmo conto che questo esercizio sia assai meno banale e superficiale di quanto possa apparire. Quella maglia, passando dai moti di Reggio alle guerre di ‘ndrangheta al boom dei primi anni 2000, si è impregnata di una regginità difficile da riscontrare altrove. Ha un significato profondo per questa città e solo attraverso il contributo di noi che viviamo il presente potrà continuare ad averlo in futuro.
Quel testimone che passa di mano in mano, da Jacoboni a Poli, da Giacchetta a Cozza in campo, da Giuseppe a Francesco, ad Alfredo, a Rocco, a Giusy, Giorgia e Antonio sugli spalti, in città, nella vita quotidiana, oggi è in mano a tutti noi.
Noi che spesso e mai come nell’ultimo periodo ci dimentichiamo di avere una grande responsabilità rispetto a chi c’è stato e a chi verrà, possiamo ripartire da qui.
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